CARO TATA

La corrispondenza de La Tata Maschio con i lettori

 

Caro tata,

ti scrivo come testimonianza di ciò che mi è accaduto a metà anno della seconda media di mio figlio.

Non pensavo sarebbe toccato a me!!

Mi domando dove ho sbagliato, quando non ho capito, cosa potevo fare meglio, e provo tanta delusione, non tanto per lui che sono certa riuscirà a capire, ma sono delusa di me, di una educazione che evidentemente non sono riuscita fino in fondo a dare.

A metà anno scolastico mi hanno chiamata da scuola:

– Signora, ci sono delle problematiche che dovremo discutere, suo figlio ha comportamenti che pregiudicano l'armonia di classe, poco rispetto nei confronti di alcuni compagni - mi sono sentita morire!

Mio figlio ha 12 anni, è un tipo sveglio, già molto alto, un po' silenzioso a casa, in particolare negli ultimi due anni; sta spesso in camera sua, a navigare in internet e a fare video games. Marco, mio figlio, è comunque sempre stato un bambino intelligente e simpatico con la gente, ama scherzare e stuzzicare; ha sempre avuto amici intorno a sé, e fra i due fratellini più piccoli, e i tanti cugini, Marco si è abituato a stare con i suoi coetanei fin da subito.

E invece...piena di ansia, mi reco alla scuola, quel giovedì ore 15.00 come mi era stato richiesto. La riunione si svolge in Aula Magna, ci sono proprio tutti, il Preside, l'antipatica vice Preside, e tutti gli insegnanti di Marco, forse mancavano solo l'insegnante di Educazione Fisica e di Spagnolo.

– Suo figlio ha atteggiamenti violenti, soprattutto verbali, con alcuni compagni, sempre con gli stessi, con Alessandro, Carlo, e Giulio -

Alessandro, Carlo e Giulio sono tre bambini in classe di Marco, tre bambini che non conosco, ma che ho imparato a riconoscere solo dopo questo episodio, sembrano tutti e tre più piccoli di Marco, sono ancora bassi e con la faccia da bimbo, non si intravedono quei precoci baffini che ormai caratterizzano il volto di Marco.

Sono rimasta molto amareggiata per quanto mi è stato comunicato dalla scuola, ho pianto, protetta dall'intimità della mia auto, mentre tornavo a casa e pensavo a quale fosse il giusto approccio con Marco.

Ero arrabbiata con lui, con me, con la scuola che forse non ci ha capito, con la vita che rende tutto complicato, perfino con i poveri Alessandro, Carlo e Giulio. Volevo tornare a casa con veemenza, urlare e punire Marco, così avrei dato sfogo al mio nervosismo, ma non avrei insegnato niente di buono a mio figlio.

Sono tornata a casa, e ho deciso di portare a cena fuori Marco; l'ho portato dal miglior giapponese della città, lui adora il sushi.

Gli ho parlato della mia esperienza, ho pensato che il miglior modo per parlare con mio figlio fosse la stessa lingua, fosse raccontare esperienze dirette, condividere le proprie debolezze, mostrarsi come lui, persone che sbagliano ma che sanno migliorare.

Ho raccontato a Marco, quando io, all'età di 15 anni, per farmi accettare dal gruppo ritenuto delle più popolari, quelle sempre pettinatissime e anelate dai compagni maschi, ho tradito Eleonora, la mia storica amica. In particolare, saltai la sua festa di compleanno, solo perché ritenuta dai soliti noti, una festa da “sfigati”. Eleonora è rimasta molto, molto delusa dal mio gesto, ha pianto e a chiesto alla sua mamma di cambiare scuola, non riusciva più a sopportare quel senso di inadeguatezza, sentirsi sempre con qualcosa che manca, non essere accettata e all'altezza degli altri, e soprattutto non riuscì ad accettare che proprio io, la sua fidata amica, l'avessi tradita per loro, per quelli che rappresentavano le sue, e probabilmente anche delle mie, pene e sofferenze.

Non vidi più Eleonora da quando cambiò scuola, ma da allora capii. Capii che la sostanza delle cose, la profondità dei sentimenti, la verità, sono le uniche cose che hanno senso e che danno un reale benessere; mentre l'effimera ricerca dell'accettazione, la violenza a se stessi per assomigliare ad altro, l'imposizione di modelli omologati e imposti da fuori, rendono la tua vita povera, ansiosa, perennemente insoddisfatta.

– Marco, ma mi stai ascoltando? Cosa pensi, cosa vuoi dirmi?

Dissi a mio figlio, che vedevo interessato ai miei racconti, ma con uno sguardo basso, pensieroso, e senz'altro triste.

– Grazie Mamma, grazie! Da troppo tempo a scuola, per mantenere il ruolo di grande e grosso che oramai ho in classe, tratto male alcuni bambini, per far ridere gli altri, per fare il duro, ma Mamma, lo in verità, mi faccio schifo, non sopporto il mio comportamento, sono un bullo, sono uno sciocco ignorante bullo, proprio quello che te mi dicevi di evitare!! Ora basta, ora voglio essere chi voglio io, non quello che gli altri si aspettano da me! Mamma abbracciami -

Abbracciai Marco stretto stretto, piangemmo entrambi, non gli dissi mai che ero stata convocata dalla scuola, e non successero più episodi simili. Ancora una volta, mettersi sullo stesso piano, parlare condividendo e non imponendo, ha funzionato.

 

caro-tata

lorenzo-naia

 

Carissima,

ti ringrazio per il racconto intimo di ciò che hai vissuto con tuo figlio. Vorrei ricambiare raccontandoti a mia volta un piccolo aneddoto.

“Questi ragazzini vanno punzecchiati” mi ha detto un giorno un insegnante della scuola secondaria con cui stavo avendo uno scambio. “Lo so che loro se la prendono” ha proseguito, “ma io mi diverto a provocarli, a farli reagire”.

E se invece, dico io, provassimo a coinvolgerli, anziché provocarli? E sopratutto: cosa stiamo chiedendo loro, di essere meno indolenti – in quel caso si parlava di indolenza, ma penso si possa applicare lo stesso ragionamento anche alla prevaricazione e al bullismo – o di provocare a loro volta?

La sensibilizzazione è importante, è fondamentale, ma il nostro esempio lo è ancora di più. Che ci piaccia o no, da qui non si scampa: con i ragazzi si gioca ad armi pari. Non con lo stesso ruolo, ma con le stesse regole. Non conosco molti altri metodi.

Dobbiamo assumerci la fatica e la responsabilità di mettere in pratica noi in prima persona ciò che chiediamo loro, quindi trattare con più riguardo se stessi e relazionarsi gli uni gli altri con maggiore rispetto (web compreso). Non sarà garanzia di nulla, è vero, e la tua lettera lo dimostra, ma sarà comunque un prendere le distanze da modelli comportamentali in cui non ci riconosciamo, e farlo con convinzione, dichiarandolo.

‘Esempio’, in questa accezione, è un termine démodé; forse potremmo parlare di aderenza: se vogliamo che ci seguano dobbiamo fare in modo che possano fidarsi di noi. Essere leali.

Credo ci sia voluta parecchia forza per essere leale nella circostanza che hai descritto, e so che gli eventi, il mondo, le persone metteranno nuovamente a repentaglio tutto questo. So che ci faranno chiedere perché una cosa sia capitata proprio a noi, ai nostri figli, alla nostra famiglia, e ci faranno venir voglia di scappare, inveire, accartocciare ogni cosa. Ma so anche che i baci dei bambini sono belli quando non sono imposti, e la vita quando non è già decisa.

 

Lorenzo