FASHION REVOLUTION

22-28 Aprile 2019 

2013-2019: Cosa è cambiato?

 

Il movimento globale Fashion Revolution nasce dopo il crollo nel 2013 del complesso produttivo Rana Plaza a Dhaka in Bangladesh dove 1133 persone, la maggior parte delle quali donne, hanno perso la vita e molte altre sono state ferite.

Da quel giorno il mondo si è svegliato ed ha iniziato ad aprire gli occhi sulle condizioni lavorative degli operai tessili in molti paesi, quali appunto Bangladesh, India, Pakistan, Cina e la nuova frontiera che è in Africa con al primo posto l’Etiopia.

 

 

Ogni anno a rimarcare la ricorrenza del crollo del Rana Plaza, il 24 Aprile, per una settimana (quest’anno 22-28 Aprile) viene portata avanti la campagna #whomademyclothes.

Lo scopo della campagna è di spingere i marchi a essere trasparenti riguardo alla lora filiera produttiva e a far vedere che ci sono ‘persone’ che cuciono gli abiti che indossiamo.

Si pensa, infatti, troppo spesso che i nostri vestiti siano cuciti da macchine senza volto: mentre la maggior parte dei passaggi sono fatti da lavoratori, in massima parte donne.

Ogni anno durante questa settimana si svolgono incontri, mostre e conferenze sulla produzione di abbigliamento, con l’obiettivo di creare awareness nel cliente finale.
Vi potrà capitare, navigando sui social, di trovare foto di persone con la maglia al contrario, mostrando l’etichetta, che rivolgono al marchio le domanda: chi ha cucito i miei vestiti?

Sempre più persone aderiscono alla campagna: dal 2017 al 2018 c’è stato un incremento del 38% di impression sui social, ci sono stati ben 720 milioni di hashtag #whomademyclotyhes durante il mese di Aprile 2018.

 

 

Si stima che per fare una t-shirt ci voglia il lavoro di 80 persone lungo la sua filiera produttiva.

 

 

 

 

Dopo la tragedia del Rana Plaza, le campagne di awareness globale e una forte spinta da parte di organizzazioni non governative, ha dato vita all’Accordo per la prevenzione degli incendi e sulla sicurezza degli edifici in Bangladesh.

L’Accordo, istituito nel maggio 2013 in risposta al crollo del Rana Plaza, grazie alle sue ispezioni indipendenti e alla formazione dei lavoratori, ha contribuito in maniera significativa a migliorare la sicurezza delle fabbriche di abbigliamento nel paese. Un’estensione dell’iniziale programma quinquennale è stata firmata da oltre 140 marchi, coprendo più di 1.300 fabbriche e circa due milioni di lavoratori.

Purtroppo, a 6 anni dalla tragedia del Rana Plaza, i progressi fatti in Bangladesh per garantire un ambiente di lavoro decente sono nuovamente a rischio. È proprio di qualche giorno fa (Febbraio 2019), per esemopio, la notizia di un altro incendio in una fabbrica di abbigliamento a Dhaka, fabbrica che era stata precedentemente chiusa a seguito di ispezioni e che aveva riaperto sotto altro nome.

Dai primi del 2018, l’Accordo e le organizzazioni internazionali che ne fanno parte sono a rischio di espulsione dal Bangladesh, dato che sia il Governo sia la lobby dei proprietari delle fabbriche chiedono che il compito di monitorare tutte le fabbriche di abbigliamento, anche quelle che fanno parte dell’Accordo, passi alle autorità nazionali.
Secondo i membri dell’Accordo però, gli organismi nazionali non hanno le risorse e la capacità necessarie e dovrebbero prima dimostrare di poter mettere in sicurezza le fabbriche di loro competenza (quelle cioè non monitorate dall’Accordo).

I firmatari dell’Accordo citano come esempio un rapporto del settembre 2018 sottoscritto anche dal governo del Bangladesh, solo il 29% dei problemi di sicurezza iniziali riscontrati nelle fabbriche coperte da organismi di ispezione nazionali sono stati eliminati (contro l’89% nelle fabbriche che lavorano con l’Accordo).

Siamo quindi a un passaggio cruciale e in questa situazione le organizzazioni che hanno spinto per arrivare all’Accordo Internazionale, ritengono rischioso che tutte le funzioni di ispettive alle autorità nazionali.

 

 

 

 

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Secondo Deborah Lucchetti della Campagna Abiti Puliti, coalizione italiana della Clean Clothes Campaign:

“Alla luce della mancanza di capacità degli organismi di controllo nazionali dimostrata
ancora una volta da questo incendio [...] risulta evidente che oggi il passaggio delle funzioni ispettive delle fabbriche monitorate dall’Accordo a questi organismi sarebbe estremamente irresponsabile. [...] il governo del Bangladesh dovrebbe accelerare le riforma degli enti nazionali per garantire trasparenza e ispezioni continuative, secondo standard elevati a reale protezione della vita dei lavoratori”.

Nel medio-lungo periodo è necessario che siano le autorità nazionali a essere responsabili della sicurezza e della salute dei lavoratori sul proprio territorio, in conformità con le norme e i trattati internazionali che hanno sottoscritto perché il cambiamento sia sistemico e sostenibile. 

È indubbio però che un passaggio troppo repentino di responsabilità non accompagnato da programmi di rafforzamento delle capacità nazionali, metta a rischio i traguardi raggiunti. C’è da augurarsi che sia possibile trovare un compromesso che permetta un trasferimento graduale delle responsabilità dalle ONG al governo accompagnato da programmi di rafforzamento dei sistemi nazionali.

La Campagna Abiti Puliti (Clean Clothes Campaign) sottolinea anche il continuare della pratiche di marchi di abbigliamento internazionali che cercano il prezzo più basso, limitando gli investimenti delle fabbriche in sicurezza. Rimane importante quindi la consapevolezza e la mobilitazione internazionale di NOI consumatori attraverso campagne come #whomademycothes e con le nostre scelte di consumo consapevole per mettere pressione sui marchi che producono abbigliamento in Bangladesh e altri paesi in via di sviluppo perché lo facciano in sicurezza e nel rispetto dei diritti dei lavoratori.

 

 



E noi cosa possiamo fare?

 

Innanzitutto rimane fondamentale acquistare in modo consapevole abbigliamento di cui conosciamo la provenienza. Poi alzare la voce e unirci ad altri nel richiedere a tutti i marchi di abbigliamento che amiamo di essere trasparenti sulla loro catena produttiva e di conseguenza migliorare le condizioni di chi ci lavora.

Anche in Italia il movimento Fashion Revolution è molto cresciuto negli ultimi anni con iniziative entusiasmanti come l’area dedicata alla comunicazione della sostenibilità curata da Matteo Ward durante la settimana della moda a Milano all’interno della fiera White. L’area si è chiamata Give a FOKus e all’interno si è allestito il FashRev Lounge. All’inaugurazione sono intervenuti il sindaco di Milano Beppe Sala e il ministro Bonisoli.

Nel mese di Aprile ci saranno eventi in tutt’Italia:
Importante è la mostra Sustainable Thinking (a cura di Sara Maino e Marina Spadafora) che esibirà 30 designer sostenibili accanto ad altrettanti artisti che parlano di sostenibilità. La mostra inaugura l’11 Aprile a Palazzo Feroni a Firenze e durerà un anno.
A Bologna, organizzata e curata da B.e Quality ci sarà una mostra interattiva sull’importanza della Fashion Revolution dall’11 al 30 Aprile.
Il 23 Aprile ci sarà la prima mondiale del film Fashion Victims al Cinema Mexico di Milano curata da Fashion Revolution.
La stilista Laura Strambi aprirà le porte del suo atelier il 3 Aprile per illustrare il suo percorso sostenibile nella moda nell’ambito dell’iniziativa Open Studio di Fashion Revolution.
Vi consigliamo comunque di rimanere aggiornati sugli eventi di visitare la pagina Facebook di Fashion Revolution Italia dove vengono segnalate tutte le iniziative.