Parto in Casa

Un'esperienza vera

Miki Miljian - @likemiljian

 

 

Avevo la mano sinistra appoggiata sulla pancia. La destra stringeva il cellulare, sul quale bastava premere il tasto verde. Lungo la gamba sinistra si arrampicava mio figlio, un biondo, ricciolo, che da poco aveva festeggiato i suoi primi dieci mesi. La gamba destra, intanto, traballava. C’era qualcosa dentro di me, dietro quel tasto verde rotondo, tra le cifre di quel numero di telefono, che mi spingeva a credere che quello era solo il primo passo. Il primo passo necessario. L’ultimo che avrei percorso da sola. Quel tasto verde mi chiamava.

La strada verso la maternità appare stabilita: a definirla sono le regole, le convinzioni, i giudizi esterni, le credenze. A definirla sono anche gli ostacoli che invadono la strada quando ammetti intimamente a te stessa e a gran voce davanti al pubblico del pranzo della domenica di volerla vivere esclusivamente a modo tuo, libera. Tu, la tua trasformazione, il tuo sacrosanto corpo, il tuo bambino. Avevo premuto il tasto verde.

Incontrai per la prima volta la mia ostetrica qualche settimana dopo. Mi presentai con Julien, il ricciolo biondo in carrozzina, e tanta buona volontà sotto braccio. “Sono Micaela, sono incinta del secondo bambino, e vorrei partorire a casa mia”.

Di lei mi ricordo il sorriso, la voce calda, le parole giuste alle mie domande, come due puzzle che si incastrano. Mi sono detta che se avessi potuto scegliere, se veramente avessi potuto decidere in quale atmosfera accogliere mia figlia, il giorno in cui avrebbe scelto la data del suo compleanno, quello era il calore che avrei sognato accanto a me. “Bene, Micaela, benissimo, di questo ne possiamo continuare a parlare. Ma ora dimmi, come stai?”.

Non è stato un cammino senza scogli, e tante sono state le volte che ho difeso la mia intenzione quante quelle in cui ho sentito sguardi esterni di perplessità di fronte a quella scelta considerata folle, a tratti retrograda. Ma cosa stavo volendo io di strano, se non accogliere mia figlia nel posto al mondo in cui ci saremmo sentite più sicure, protette, “a casa”?

 

 

Nel momento del parto il corpo secerne naturalmente una combinazione di ormoni. In maniera naturale, il corpo si occupa di gestire attraverso il cocktail di questi ormoni il dolore, lo stress fisico, ripagando l’impegno con una sensazione di estrema forza, concentrazione, fiducia in se stesse. L’ormone principale del parto è l’ossitocina, e non solo perché ha un effetto sulle contrazioni uterine. L’ossitocina è chiamata “ormone dell’amore”, perché induce la calma e riduce lo stress. L’ossitocina è chiamata ormone dell’amore anche perché aiutano a produrla un ambiente in cui ci si sente al sicuro, in cui ci si sente protette, nel calore, nella pace.

Dovevo giusto credere in me, nella mia forza, nella mia naturale maniera di saper dare alla luce. Il 24 settembre di quell’anno, alle 3.50 del mattino, Lia Miljian è venuta al mondo sul nostro letto, sotto un’immensa mappa del mondo, nella magia di una stanza illuminata solo dalla luce della notte, mentre fuori la città ancora dormiva quieta, inconsapevole di aver guadagnato due occhi in più. È stato come un incantesimo, e nel frattempo era accaduta la cosa più naturale del mondo. Quasi innata, spontanea, completamente normale. Le ostetriche ci hanno lasciato riposare, abbracciati in quel letto che era il nostro, e a svegliarci è stato solo il nostro bambino, che una mattina si è alzato e aveva una sorella in più. Julien a pranzo ha cucinato la pizza. L’ho mangiata con la mia bambina in braccio. Sono rimasta tutto il giorno a guardarla, sdraiata nel nostro letto, come a fotografare con gli occhi ogni sua ora di vita in più.

È arrivato il terzo figlio. Dopo aver girato in pancia cinque continenti, Milo ci ha fatto capire che per nascere sarebbe bastato sentirsi a casa. E casa per noi era la sicurezza del supporto della donna che ci aveva già una volta accompagnato per mano nel percorso più complesso della vita, quello verso la famiglia che moltiplica. Dove è nato l’ha scelto lui. Perché i bambini conoscono già le risposte alle domande che noi ancora non siamo arrivati a farci. I suoi due fratelli erano nella stanza a fianco.

Quando si sono conosciuti Milo aveva poche ore di vita. E se mai in quel momento una telecamera avesse filmato dalla finestra della stanza quei tre bambini insieme, non si sarebbe mai resa conto che quello era il loro primo incontro se non osservando da vicino. Perché in quella casa tutto aveva seguito il corso ordinario della vita. Il caffè nella moka, i giocattoli per terra, la musica in salotto. Quel primo giorno da fratelli era semplice quanto eccezionale. Tutto aveva seguito la linea della vita. Tutto era stato magicamente naturale.

 

 

 





  

 

 

 

 

 

 
 

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